Il contributo al blog, questa volta, proviene da un amico, Fabio Alessandri, che suggerisce la lettura di un passo dell'autobiografia di Albert Schweitzer pubblicato sul suo sito.
Ecco il link: http://triartis.eu5.org/?p=922
Le idee che determinano l’essere e la vita di un uomo sono date in lui in modo misterioso. Al suo uscire dall’infanzia esse cominciano a metter gemme in lui. Quando egli viene afferrato dall’entusiasmo giovanile per il Vero e il Buono esse fioriscono e danno frutti. Nello sviluppo che in seguito attraversiamo, ciò che importa veramente è solo di vedere quanti dei frutti che il nostro albero aveva dato in primavera sono rimasti su di esso.
La convinzione che noi nella vita dobbiamo lottare per continuare a pensare e sentire come in gioventù mi ha accompagnato come un fedele consigliere lungo la mia via. Istintivamente mi sono sempre guardato dal diventare quello che comunemente si intende un «uomo maturo».
L’espressione «maturo» applicata all’uomo mi suonava e mi suona ancora adesso come qualcosa che non mi appartiene. Accanto ad essa ed assieme ad essa sento sempre risuonare come dissonanze le parole «impoverimento», «intristimento», «ottusità». Ciò che comunemente ci capita di giudicare come maturità in un uomo non è che rassegnata ragionevolezza. La maturità uno se la acquista su modelli altrui, abbandonando pezzo a pezzo i pensieri e le convinzioni che gli erano cari quando era giovane. Credeva nel trionfo della verità, ora non ci crede più. Credeva negli uomini, ora non più. Credeva al Bene, ora non ci crede più. S’infervorava per la giustizia, ora non più. Aveva fiducia nella potenza della bontà e della natura pacifica, ora non più. Poteva entusiasmarsi; ora non più. Per navigare meglio tra i pericoli e le tempeste della vita ha alleggerito la sua barca. Ha buttato via merci che riteneva superflue. Ma ciò di cui si liberava erano le scorte di cibo e di acqua. Ora egli naviga più leggero, ma come uomo si strugge.
In gioventù mi sono intrattenuto con adulti, dai cui discorsi spirava una tristezza che mi opprimeva il cuore. Essi guardavano indietro all’idealismo e alla capacità di entusiasmo della loro gioventù come a qualcosa di prezioso che si sarebbe dovuto conservare fermamente. Al tempo stesso però consideravano come una legge di natura il fatto che ciò non fosse possibile.
Mi venne allora paura che un giorno dovessi anch’io guardare indietro a me stesso in modo così triste. Decisi di non sottomettermi a questo tragico «diventare ragionevole». Ciò che mi ero ripromesso con caparbietà quasi infantile ho cercato di realizzarlo.
Troppo volentieri gli adulti si compiacciono nel triste ufficio di preparare la gioventù al fatto che un giorno essa riconoscerà come illusione la maggior parte di ciò che al momento eleva il suo cuore e i suoi sentimenti. La più profonda esperienza di vita però parla diversamente all’inesperienza. Essa scongiura la gioventù di conservare ben saldi attraverso la vita intera i pensieri che la entusiasmano. Nell’entusiasmo giovanile l’uomo scorge la verità. In esso egli possiede una ricchezza che non deve barattare a nessun costo.
Noi tutti dobbiamo essere preparati al fatto che la vita voglia toglierci la fede nel Bene e nel Vero, insieme all’entusiasmo per essi. Ma dobbiamo fare in modo di non cederglieli. Che gli ideali, quando si confrontano con la realtà, vengano di solito schiacciati dai fatti, non significa che essi debbano capitolare fin dall’inizio di fronte ai fatti, ma solo che i nostri ideali non sono abbastanza forti. Non sono abbastanza forti, perché in noi non sono abbastanza puri, forti e durevoli.
La potenza dell’ideale è incommensurabile. Ad una goccia d’acqua non si attribuisce alcuna potenza. Se però penetra in un crepaccio e lì diventa ghiaccio, fa saltare la roccia; come vapore spinge l’albero della macchina più potente. Le è dunque accaduto qualcosa che rende efficace la potenza che è in lei.
Lo stesso avviene con l’ideale. Gli ideali sono pensieri. Fino a quando essi rimangono solo pensieri pensati la potenza che è in essi rimane inefficace, anche se vengono pensati con il massimo entusiasmo e con la più ferma persuasione. La loro potenza si estrinseca solo quando avviene che ad essi si unisca l’essere di un uomo purificato. La maturità verso cui dobbiamo svilupparci consiste nel dovere di lavorare su noi stessi per diventare sempre più semplici, sempre più veraci, sempre più puri, più pacifici, più miti, più compassionevoli. A questo «disinganno», e solo a questo, non dobbiamo abbandonarci. In esso il tenero ferro dell’idealismo giovanile si tempra nell’acciaio dell’idealismo della vita che non può andare perduto.
Il grande sapere è essere capaci di venire a capo delle delusioni. Tutti i fatti sono effetto di una forza spirituale; quelli coronati da successo di una forza sufficientemente grande; quelli cui il successo non arride di una forza insufficiente. Se il mio comportamento dettato da amore non ha alcun effetto è perché in me c’è ancora troppo poco amore. Se sono impotente di fronte alla falsità e alle bugie che mi circondano il motivo è che io stesso non sono abbastanza veritiero. Se devo assistere al triste gioco che continuano a perpetrare invidia e cattiveria, ciò vuol dire che io stesso non mi sono ancora spogliato del tutto dalla meschinità e dall’invidia. Se la mia natura pacifica viene fraintesa e schernita significa che in me non c’è ancora una natura sufficientemente pacifica.
Il grande segreto consiste nel vivere senza lasciare che la vita logori la nostra umanità. Ciò è possibile solo a chi non conta su uomini e fatti, ma in ogni circostanza viene rimandato a se stesso e cerca il motivo ultimo delle cose nella propria interiorità.
A chi lavora alla propria purificazione niente potrà mai rubare l’idealismo. Egli sperimenta la potenza delle idee del Vero e del Buono nel proprio intimo. Anche se di quello che egli vuole operare in questo senso fuori di sé vede ben poco, egli tuttavia sa di essere efficace nella misura in cui in lui c’è purificazione. È solo che il successo non è ancora sopraggiunto, oppure rimane nascosto al suo occhio. Dove c’è forza, c’è l’effetto della forza. Nessun raggio di sole va perduto. Ma la vegetazione che esso risveglia ha bisogno di tempo per germogliare e il seminatore non è sempre destinato a prendere parte al raccolto. Qualsiasi opera significativa è un atto di fiducia.
Il sapere della vita che noi adulti dobbiamo comunicare ai giovani non suona perciò così: “La realtà farà strage dei vostri ideali”, ma al contrario: “Crescete sempre più nei vostri ideali, così che la vita non riesca a strapparveli”.
Se gli uomini diventassero ciò che sono a quattordici anni come sarebbe diverso il mondo!
Come individuo che ha cercato di rimanere giovane nel suo pensare e sentire ho lottato con i fatti e l’esperienza per la fede nel Buono e nel Vero. In quest’epoca, in cui la violenza mascherata di menzogna siede come mai prima d’ora sul trono del mondo in modo inquietante, rimango lo stesso convinto che la verità, l’amore, la mansuetudine, la dolcezza e la bontà sono potenze superiori a qualsiasi altra potenza. Ad esse apparterrà il mondo, se solo ci sarà un numero sufficiente di uomini che pensino e vivano con purezza e forza e sufficiente costanza i pensieri d’amore, di verità, di mansuetudine, di dolcezza.
Qualsiasi violenza ordinaria si limita da se stessa, poiché produce una violenza contraria che presto o tardi la uguaglierà o la supererà. La bontà invece agisce con semplicità e costanza. Non produce tensioni che la pregiudichino. Essa scioglie le tensioni esistenti, fa sparire diffidenza e malintesi, si rafforza da sé in quanto richiama altra bontà. Perciò è la forza più adeguata allo scopo e più intensa.
Tutto quanto un uomo diffonde nel mondo come bontà, agisce sui cuori e sul pensiero degli esseri umani. La nostra folle trascuratezza sta nel non avere il coraggio di fare sul serio con la bontà. Noi vogliamo rotolare un peso enorme senza servirci della leva che centuplica la forza.
Una verità di una profondità incommensurabile è racchiusa nella fantastica parola di Gesù: “Beati i mansueti, poiché possiederanno la Terra”.
Strasburgo, febbraio 1924
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